a me gli occhi

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Miw - la gatta

domenica 23 aprile 2017

FILI CHE SI RIANNODANO

Ci sono ricordi che rispuntano dal passato in modo totalmente inaspettato, basta che un giorno si decida di fare pulizia fra le cose accumulate in cantina e aprendo uno scatolone si apre un vaso di Pandora di ricordi di tanti tanti anni fa.
Ieri ho fatto proprio questo, ho aperto un vaso di Pandora di ricordi di 60 anni fa. Ho ritrovato l'album dei ricordi di quando ero bambina e sfogliandolo ho rivisto la foto della 5a elementare. Tanti bei musini in bianco e nero in una foto un po' ingiallita dal tempo.
Nella pagina a fianco le firme, tutte scritte in bella calligrafia, delle compagne di allora e leggendo quei nomi mi sono chiesta che cosa ne fosse stato di tutte loro.
Meno male che oggi abbiamo un mezzo bellissimo, se usato bene, per poter cercare di ritrovare persone lontane nel tempo: Face-book.
Mi sono detta ...perché non provare? Ho scannerizzato la foto e l'ho postata in un gruppo pubblico del paese dove avevo frequentato le elementari, Villasanta.

Ormai i gruppi di Sei di......se si sono formati un po' dappertutto e io con fiducia ho provato a chiedere aiuto ai suoi membri nel ritrovare o almeno avere notizie delle mie compagne.
Mai avrei pensato che in pochi minuti già due figlie/i e una nipote mi rispondessero, ma soprattutto mai mi sarei immaginata di ritrovare anche amici che vivevano nella stessa via e con i quali avevo giocato. E' stata una bellissima emozione riallacciare quei fili col passato, sapere che ancora si ricordavano di quella bambina che si era trasferita a Milano nel 1958. Sono passati 60 anni è vero, ma la gioia che ho provato è stata grande. Ecco questo, credo, è un modo utile e intelligente di usare i social, ritrovare le proprie orme, riannodare i fili....essere veramente "social".

venerdì 21 aprile 2017

RICORDI DI TRE GENERAZIONI

Sono una che conserva molte cose, soprattutto i ricordi ed è così che oggi, presa da una irrefrenabile voglia di fare pulizia, sono scesa in cantina e ho cominciato a guardare nei vari scatoloni cosa poteva essere buttato.
Così, in una scatola con tante foto che appartenevano a mia madre, sono saltati fuori tre piccoli libri di ricordi uno di mia nonna, uno di mia mamma e uno mio.
Anni fa si usava regalare alle bambine, soprattutto nel giorno della prima comunione, un bel diario rilegato in pelle con tante pagine su cui poter far scrivere alle persone care, parenti o amici, dei pensieri da conservare per il futuro. Ora non si usa più, ma per me è stato emozionante aprire quei diari appartenuti a mia nonna e a mia mamma. Sono rovinati dall'umidità della cantina, le loro pagine sono ingiallite, ma ancora conservano i disegni e i pensieri vergati con quella scrittura di tanti anni fa.
















 Il diario di mia nonna è datato nel maggio del 1898 e leggendo i pensieri di quelle che credo fossero le sue compagne di scuola, ho dedotto che quelli erano i giorni della fine di un corso di studi che avrebbe visto tutte quelle ragazze andare nel mondo col loro diploma di maestra.

Mia nonna all'epoca era già orfana di entrambe i genitori e da Padova (dove aveva frequentato la scuola magistrale) si sarebbe poi spostata a Mestre e da ultimo a Verona.










Quello di mia madre le è stato regalato il giorno del suo 14° compleanno, il 30 luglio del 1923 da sua madre, cioè mia nonna e l'ha accompagnata fino al 1930 con le dediche, i pensieri e i disegni delle sue amiche.







E per ultimo il mio datato 1957 con le dediche della mamma, del papà, della mia maestra delle elementari, delle compagne di classe e degli amici del cortile, degli amici dei miei genitori e perfino la foto con dedica e autografo di Adolfo Consolini grande discobolo italiano.









 Oggi se dovessi regalare un diario di questo genere a mia nipote forse mi guarderebbe "strano" perché oggi non si usa più scrivere pensieri con la penna su un diario rivestito di pelle, ora si manderebbe un messaggino sul cellulare con la segreta speranza che non venga cancellato in un attimo.

martedì 4 aprile 2017

Il cellulare

Sono dell'idea che il cellulare sia stata un'ottima invenzione finché si trattava di essere reperibili con facilità, ma negli ultimi anni ho visto questa utile invenzione diventare un mezzo di schiavitù per l'uomo.
Ho resistito fino a che ho potuto prima di averne uno, mi serviva soprattutto per essere reperibile a causa delle condizioni di salute di mia madre e anche assentarmi per andare a fare la spesa era un problema viste le frequenti piccole ischemie che colpivano mia madre.
Ho faticosamente imparato ad usarlo, ma ci sono riuscita, poi come credo sia capitato a molti, quel piccolo aggeggio che doveva servire solo a ricevere e fare chiamate o messaggi si è trasformato in un infernale aggeggio che ti permetteva di avere sottomano anche internet con i social media, di fare fotografie, brevi filmati da mettere in rete all'istante. E' così cominciata la schiavizzazione del nostro tempo.
Mi sono stati regalati modelli sempre più tecnologici di cui sapevo a mala pena usare un 50% delle loro proprietà. I tecnologi di casa mia mi hanno aperto internet, collegato a face-book a Whatsapp fino a che stanca di vedere il mio cellulare sempre in attività anche di notte (per riuscire a caricare foto inviate da parenti a amici) ho preso una decisione drastica: ho disattivato tutto. Ora il mio cellulare serve solo a fare e ricevere chiamate e mandare o ricevere messaggi, con la conseguenza che la batteria non mi si scarica più dopo due ore.
Mi rendo conto di essere fuori dal giro, ma credo che vivere col cellulare in mano di giorno e di notte e a tutte le ore non faccia bene alla salute. Se esco a passeggiare voglio guardare dove metto i piedi non uno schermo.
Spesso mi rendo conto, guardando gli altri, che a furia di stare col cellulare in mano non guardano quello che fanno, non prestano attenzione se sono alla guida dell'auto o pedalano in bicicletta con conseguenze spesso disastrose. Insomma per quello che mi riguarda io non sono più schiava di quella scatoletta petulante, e vivo molto meglio.