a me gli occhi

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Miw - la gatta

giovedì 20 agosto 2015

Ignoranza di una ragazza cittadina

Ricordo quella mattina come fosse ieri. Ero scesa in Calabria per la prima volta in vita mia. Mi accompagnava un caro amico che aveva il compito di farmi da chaperon e autista visto che andavo a trovare nella tana del lupo quelli che sarebbero diventati i miei suoceri. Ci eravamo stabiliti in un campeggio di Briatico sulla Costa Viola e quella mattina, appunto, eravamo andati a farci un giro a Vibo Valentia per fare un po' di spesa.
Volendo comprare della frutta ci siamo diretti verso un negozio di fruttivendolo che al suo esterno esponeva cassette multicolori di melanzane, peperoni, pomodori, frutta e una cosa strana, verde, secca....."cespugliosa".......Più la guardavo e meno capivo. Nel frattempo si avvicina la proprietaria del negozio per chiedermi cosa desiderassi acquistare e io, sempre più incuriosita, le chiesi additando quella "roba" verde secca......" Ma che cosa è?" e lei guardandomi come fossi un'aliena..." Ma è rrigano signurì!".  Certo per lei era normale vederlo come natura l'aveva creato ma io nata e cresciuta al nord e abitando a Milano l'origano l'avevo visto sempre e solo nei vasetti di vetro!.

sabato 4 luglio 2015

GLI SBANDIERATORI DI FAENZA

Quando tanti anni fa sono venuta ad abitare a Faenza, sapevo che avrei vissuto in una città di origini antichissime che risalgono agli antichi Romani se non addirittura agli Etruschi. Sapevo anche che era una città nota in tutto il mondo per le sue meravigliose ceramiche e per il suo Museo Internazionale della Ceramica (MIC) ma non sapevo che avrei fatto, una volta l'anno, un tuffo nel Medioevo grazie al suo Palio del Niballo con il corteo storico e le gare di musici e sbandieratori.
Qui nei rioni, Bianco, Nero, Giallo, Verde e Rosso è profonda la tradizione del saper sbandierare e fin dalla più tenera età i ragazzi dei vari Rioni, fanno scuola con le bandiere, le fanno sventolare e letteralmente volare nel cielo riafferrandole al volo nella loro discesa.
Si studiano ogni anno nuove coreografie, si cerca di mettere qualche difficoltà in più nelle figure per poter superare in bravura gli altri rioni. Faenza è tra le città Italiane che ha conquistato più premi nelle gare sia nazionali che internazionali arrivando perfino al titolo di Campioni del Mondo nelle gare di singolo e coppia.
                                                                                    A giugno quando si svolgono le gare nella Piazza del Popolo, i colori dominanti dei Rioni, rallegrano a festa tutta la città e le bandiere con i loro bellissimi disegni volano leggere nell'aria facendo rimanere col fiato sospeso chi osserva e chi magari spera (essendo di rione diverso) che la bandiera cada a piombo per terra.
Oggi i giovanissimi sbandieratori del Rione Giallo (under 15) hanno vinto l'ennesimo premio ad Ascoli Piceno in una gara nazionale. Ecco questi sono i ragazzi che piacciono a me, ragazzi che magari rinunciano ad andare a divertirsi per allenarsi duramente per far fare bella figura alla loro città. Bravi! E perdonatemi se sono di parte, ma vivo nel Rione Giallo.


giovedì 4 giugno 2015

Un viaggio tra carta, incisione, inchiostro e stampa

Studio Battaglia di Enrico Versari






Non è molto facile fare regali di compleanno originali, regali che siano al di là delle solite cose. Ieri e oggi mi è stato regalato un sogno.

 Ho sempre amato i libri e tutto ciò che li circonda e ho sempre amato il disegno e la riproduzione di esso con le varie tecniche. Ma mai che potessi anche solo immaginare di riuscire a fare un'acquaforte, e poi a stamparla e rilegarla in un mini libriccino il tutto in due giorni. Ma andiamo con ordine.



Qualche giorno fa mio figlio mi telefona e mi dice ....".e se per il tuo compleanno ti regalassi un workshop di Kerning?" ...."Cosa? dove? quando?.......sono andata di corsa a informarmi e la risposta è stata senza esitazione un SI GRAZIE!!!!!!



Ieri mattina alle 9,30 mi sono presentata allo Studio Battaglia dove avrei imparato come si fa un'acquaforte. Eravamo in sei, tutti gli altri affermati e bravissimi designer, io, la pecora nera.



Primo passo pensare ad un disegno, a due frasi e a un titolo che sarebbero stati stampati successivamente presso La Vecchia Stamperia, Non avevo avuto molto tempo per pensare nei giorni precedenti per cui mi sono detta......fai un disegno semplice lineare che non comporti troppe difficoltà e così ho pensato a tutti i gufi fermaporta che avevo cucito questo inverno e ho fatto lo schizzo di un gufetto.

 Chiacchierando con gli artisti dello Studio abbiamo deciso che il gufo richiama la saggezza e io ho pensato al tempo che passa .....un pensiero tira l'altro e mi è venuta la prima, la seconda frase e il titolo.


 Ci hanno spiegato tutta la tecnica e la storia che precede questo tipo di stampa e poi ci hanno dato una lastrina di rame che è stato opportunamente cerato e affumicato con un semplice fornelletto a petrolio.

Abbiamo riportato il disegno su un foglio da carta da lucido e poi l'abbiamo ricalcato sulla lastrina di rame facendo bene attenzione a non fare errori. Una volta finito con uno strumento appuntito, seguendo le tracce lasciate dal ricalco abbiamo graffiato la superficie annerita fino a far emergere il rame.


La lastrina è stata poi messa a bagno in un acido speciale che avrebbe approfondito la traccia e creato quel solco dove l'inchiostro avrebbe trovato il suo posto prima della stampa.


Fatto ciò, abbiamo provveduto a pulire il nero fumo rimasto e abbiamo steso un inchiostro in pasta facendolo entrare bene nei solchi del disegno, poi abbiamo riportato a lucido la lastra di rame e l'abbiamo posizionata su una pressa ricoprendola con la speciale carta di stoffa arrivata proprio da Fabriano.

 Ognuno di noi ha così stampato i suoi quattro disegni che abbiamo lasciato asciugare fino al giorno dopo.


                                                                                 
Secondo giorno. Ci siamo trasferiti alla Vecchia Stamperia una bottega storica dove si stampa con i vecchi metodi e su vecchi macchinari.

Si entra in un mondo fatto di odore di inchiostro, lettere di piombo di tantissimi tipi e fogge, di rulli, di macchine da stampa che forse qualcuno pensa non esistano più.

Qui stampare una pagina, una litografia un libro o una locandina è pura arte.
 Abbiamo visto come si costruisce una riga di stampa cercando negli appositi contenitori le lettere per comporre le parole, abbiamo imparato l'utilità e la necessità degli spazi fra le parole e fra le righe.

Ci siamo divertiti a comporre anche una pagina di tre righe e poi a stamparla.
 Abbiamo stampato le pagine del nostro libretto d'autore e abbiamo fatto con una pressa la piegatura della copertina.


Abbiamo piegato a fisarmonica il nostro "libro" e l'abbiamo unito alla copertina. E finalmente abbiamo visto completato questo piccolo "capolavoro" di acquaforte e stampa.

E' stata una bella avventura che mi ha fatto capire quanto valga un buon libro stampato bene, non solo nel suo contenuto da leggere ma anche nel suo insieme di grande capacità artigiana di un vero tipografo.

  GRAZIE DAMIANO !

                                               



                                                       




domenica 17 maggio 2015

The Show must go on.......21-8-1960





Spesso un pensiero tira l'altro e un titolo di canzone ti riporta a un ricordo di tanti, tanti anni fa. Così è accaduto a me stamattina, volevo postare su fb il mio buongiorno con una canzone "Domenica è sempre domenica" e il mio pensiero è corso a Mario Riva e a quella sera del 21 agosto del 1960.  Ero in vacanza a Verona dai miei zii e per la prima volta sarei andata all'Arena ad assistere ad uno spettacolo. Avrei assistito al Festival del Musichiere  presentato da Mario Riva il simpatico attore romano e conduttore dell'omonima  trasmissione televisiva di quegli anni che teneva incollati gli italiani davanti agli schermi della televisione in bianco e nero . Era una trasmissione basata sulla semplicità, due persone sedute su due poltrone a dondolo dovevano correre a suonare una campanella non appena avessero riconosciuto una canzone che veniva cantata da due artisti Nuccia Boncompagni e Johnny Dorelli, sostituito poi da Paolo Bacilieri. Per ben tre anni tutti i sabato sera eravamo lì incollati davanti allo schermo per vedere se saremmo stati più veloci dei concorrenti ad indovinare le canzoni.
Avevamo preso posto sulle gradinate e aspettavamo con impazienza l'inizio dello spettacolo quando ci accorgemmo che qualcosa non andava nel modo previsto: là sul palco si muovevano persone che sembravano colte dal panico, perfino il Maestro Gorni Kramer aveva lasciato la sua postazione di direttore d'orchestra. Tra brusii e mormorii alla fine uscì sul palco Miranda Martino che annunciò che Mario Riva aveva avuto un incidente e che pertanto non avrebbe potuto salire sul palcoscenico.

.........A soli quaranta secondi dall'inizio della trasmissione accadde l'irreparabile. Riva, in smoking, era pronto ad entrare in scena. Si trovava su un alto praticabile di legno posto sul lato sinistro del palcoscenico e dal quale, scendendo lungo un piano inclinato, avrebbe raggiunto il microfono reggendo un'accesa fiamma olimpica, visto che l'evento dell'anno, che sarebbe iniziato qualche giorno dopo, era l'Olimpiade di Roma. Il praticabile sul quale si trovava il presentatore era unito al restante blocco del palco orchestrale da una incastellatura ricoperta di tela. Si trattava di una costruzione scenica di uso corrente con tanto di appositi cartelli di pericolo ben esposti. Avvertimento che gli era stato ripetuto prima dell'incidente. Ma l'Arena gremita da venticinquemila spettatori, l'emozione della diretta, l'ansia e la gioia di un nuovo trionfo, giocarono un brutto scherzo al presentatore. Mario Riva mise un piede su quella striscia di tela. ......... da Il Tempo.it del 23/8/2013


 Mario Riva fu ricoverato subito ma dopo una settimana morì, era il 1 settembre.
Quella sera lo spettacolo, che era ripreso anche dalle telecamere della RAI, andò lo stesso in programma......The Show must go on.....si dice tra gli addetti ai lavori, ma posso garantire che si poteva percepire la preoccupazione di tutti i venticinquemila spettatori presenti come fosse una pesante nebbia che ovattava tutto, le canzoni, la musica, i cantanti, la notte stellata.
Sono passati 55 anni da allora, ma per me Domenica è sempre domenica è sinonimo di Mario Riva.

mercoledì 13 maggio 2015

C'era una volta.....

un paese, il paese degli scontenti. Tutti avevano sempre da protestare, tutti dovevano sempre criticare ciò che facevano gli altri. Se uno qualsiasi dei suoi abitanti proponeva una miglioria c'era sempre qualcuno che diceva no, non va bene così. Tutti erano politici migliori di quelli che governavano, tutti erano economisti migliori di chi gestiva il bene pubblico, tutti erano arbitri migliori di chi stava sul campo col fischietto. Se qualcuno si prendeva la briga di dare una mano a chi affogava, c'era sempre chi diceva che quando lui rischiava di affogare (nella vasca da bagno) nessuno gli aveva porto una mano. Non parliamo poi di seguire le leggi, quelle erano sempre gli altri che le dovevano seguire, che dovevano sottostare alle regole lui poteva farne a meno, lui era un'altra cosa. Il governante di turno era naturalmente il capro espiatorio di tutti i mali e in quel caso si sprecavano i "se fossi stato io a decidere avrei fatto meglio". Se succedeva qualcosa e il protagonista era uno che veniva da fuori ecco che si cominciava a criticare come era stata gestita la cosa o si sentenziava che tutti quelli che venivano da fuori erano ladri, delinquenti, ma se il protagonista era uno del paese allora la sentenza era....se fosse stato uno di fuori gli avrebbero fatto ponti d'oro invece che fargli la multa. Insomma in quel paese erano proprio tutti scontenti. Finché un giorno tutto ma proprio tutto cominciò ad andare a catafascio e il paese non più protetto diventò facile preda di chi della scontentezza degli altri fece la contentezza sua.

Stretta è la foglia, larga la via, dite la vostra che ho detto la mia.

mercoledì 11 marzo 2015

io e la ....genealogia



Quando poco più di 10 anni fa sono entrata a far parte anche io del web, la prima curiosità che mi sono voluta togliere è stata di cercare di capire quante persone col mio stesso cognome avrei potuto "incontrare" virtualmente.
 Attraverso Skype e l'esame degli elenchi telefonici, non solo italiani, ho scoperto che i Boin erano molti di più all'estero che non in Italia. Ecco una prima tabella che avevo approntato all'epoca:

BOIN NEL MONDO/BOIN DIFFUSION IN THE WORLD

Europa
Italia                          141
Francia                      617
Olanda                      166
Germania                  113
Svizzera                    111

Belgio                       3 piscine intitolate a V. Boin
Australia                   21
Nuova Zelanda         1
Canada                      17
Usa                           300

Argentina                  16


 La mia domanda quindi si era spostata sull'origine di questo cognome: era di origine Italiana o per esempio Francese? Erano dei Boin italiani che erano emigrati in Francia e da lì in altri paesi o erano dei Boin francesi che erano emigrati in Italia? Sapevo che, per ricerche araldiche fatte fare da mio zio, la famiglia Boin aveva le sue radici nella Repubblica di Venezia e che si erano trovate tracce di questo cognome fin dal 1374, mentre tutte le ricerche che sono riuscita a fare tramite siti di genealogia, mi davano notizie sicure dei Boin Francesi che arrivavano solo fino al 1600.
Questa domanda a tutt'oggi è rimasta senza risposta, anche perché, volendo creare il mio albero genealogico, mi sono scontrata con la mancanza di documenti relativi ai miei nonni paterni, documenti che sono andati perduti dall'ufficio anagrafe del comune di Bassano del Grappa a causa di un incendio e dal fatto che non vivendo vicina alle località che li videro nascere, non ho la possibilità di andare a scartabellare i vecchi registri parrocchiali.
Mi sono consolata così cercando di creare l'albero genealogico della famiglia di mio marito. In questo caso ho avuto più fortuna perchè erano ancora vive due vecchie zie che detenevano vivi i ricordi dei loro antenati, addirittura con date di nascita e morte. Facendo ricerche sul nonno di mio marito che era stato per lavoro negli Stati Uniti più di una volta mi sono imbattuta nei nomi di suoi fratelli sulle liste passeggeri di Ellis Island e ho così scoperto che uno di loro si era fatta una famiglia a New York, anche se seguire le sue tracce non è stato facile perchè anche in quel caso chi scriveva i documenti relativi ai censimenti spesso modificava i nomi e i cognomi rendendo davvero difficile la ricerca.
Per mia fortuna sempre attraverso Facebook ho conosciuto un ragazzo di origini italo argentine che stava costruendo l'albero genealogico del ramo della famiglia di mio marito originaria di Montalto Uffugo. Grazie al suo lavoro certosino è riuscito a costruire un albero genealogico con ben 1960 nomi in diversi rami che coprivano l'emigrazione sia in America del sud che negli Stati Uniti e facendo conoscere tra loro queste persone che erano legate da quel sottile ma indistruttibile filo del DNA che li legava malgrado il tempo e lo spazio. Grazie a lui, in un nostro viaggio a Buenos Aires abbiamo conosciuto un suo zio che è cugino in quinto o sesto grado di mio marito, visto che i loro rispettivi trisnonni erano fratelli.
La curiosità per la genealogia mi ha spinto a offrirmi come volontaria per un lavoro di raccolta dati per un Data Base di una università americana che voleva mettere in una banca digitale tutti i dati che venivano raccolti con microfilm nelle varie questure dei maggiori porti italiani, da dove partivano la maggioranza degli emigranti. Spesso ho trovato insieme alle domande di passaporto anche lettere scritte in un incerto italiano da madri che chiedevano al console italiano di qualche città del Sud America notizie di figli emigrati colà e dei quali da mesi non avevano notizie. Da questi documenti non estraevo solo nomi cognomi e date di nascita, ma riuscivo a immaginare le loro storie, storie di povertà, di speranza in un domani migliore. Ho avuto modo di conoscere diversi nipoti e pronipoti di emigranti italiani che grazie a internet sono riusciti a mettersi in contatto con lontani parenti dei rami italiani delle loro famiglie e nel mio piccolo li ho aiutati nel fornire anche traduzioni di mail dall'italiano all'inglese e viceversa. Per me è stato molto gratificante sapere che ci sono persone, nate e cresciute in altri paesi, che si sentono ancora profondamente italiani e che desiderano conoscere meglio il Paese di origine dei loro antenati.

martedì 3 marzo 2015

Viaggiare in treno.....che emozione!

Sono nata subito dopo la guerra e i mezzi di trasporto non erano molti. Chi si doveva spostare da una città all'altra difficilmente possedeva un'automobile,  doveva prendere il treno Treni scomodi con sedili di legno (la famosa terza classe dove si pagava di meno), oppure con dei sedili "imbottiti" che erano più duri di quelli di legno.
Nei primi anni '50 il viaggio che con mia madre facevo almeno due volte l'anno era Milano - Verona, per poter andare a trovare la famiglia di mia madre, nonni e zii che colà vivevano. Per me prendere il treno rappresentava sempre un'avventura, ero sempre elettrizzata al pensiero di salire quei gradini alti che dal marciapiede mi avrebbero permesso di arrivare allo scompartimento, di cercare il posto e farci aiutare da qualche forzuto a posare la nostra valigetta sopra la rete posta in alto sopra i sedili. Il viaggio durava delle ore, tre o quattro, anche se noi prendevamo il diretto che fermava solo in pochissime stazioni. Poi si arrivava alla stazione di Verona dove trovavamo zio Piero (fratello di mia madre) ad attenderci. Intorno ai primi anni '60 feci lo stesso tragitto da sola per la prima volta. Accompagnata in stazione Centrale a Milano dal mio papà e prelevata alla stazione di Porta Nuova a Verona dallo zio, avevo assaporato quel mio primo viaggio da "persona adulta" minuto per minuto, tra la paura dell'ignoto e la curiosità di mettermi alla prova.
Sempre negli stessi anni veniva inaugurato un treno veramente "fantascientifico" per l'epoca: il SETTEBELLO. Era un treno per VIP, con scompartimenti che sembravano salottini, il vagone ristorante, quello dove poter prendere al bar qualcosa durante il viaggio e ogni comfort immaginabile. Io non ci sono mai salita, ma lo conoscevo benissimo in ogni dettaglio, perché il padre di un mio compagno di gioco che si dilettava in lavori di bricolage lo aveva riprodotto fedelmente in legno ed era funzionante sul suo tracciato con rotaie, stazioni immerse nelle colline con gallerie e pianure.
Oggi i treni sono talmente veloci che quasi quasi non fai in tempo a salirci che sei arrivato e non parlo di viaggi brevi, ma di viaggi dove per attraversare l'Italia ci vogliono poche ore. Certo questi sono treni di un certo "livello" perché se il discorso passa ai treni destinati ai pendolari allora il discorso è completamente diverso. Anzi sembra che ogni anno riescano solo a far aumentare le tariffe, mentre diminuiscono considerevolmente le carrozze adibite a questo servizio. Si costringe in un certo senso la gente a usare la macchina, spendendo di più sia in costi che tempi e inquinando di più l'aria.


Ormai il treno lo prendo raramente, viaggio più in aereo, ma il fascino del viaggio in treno è un'altra cosa.